Decolonizzazione, liberazione, riconciliazione

Ilan Pappé, figlio di ebrei tedeschi fuggiti dai nazisti, è un esponente di spicco dei “nuovi storici israeliani”, professore a Haifa e oggi a Exeter (Gb), direttore del Centro europeo di studi sulla Palestina. È una personalità controversa, detestata dall’establishment di Israele. Lo è perché è un critico radicale del suo governo, perché il suo bestseller s’intitola ‘La pulizia etnica della Palestina’, perché è solidale con la resistenza palestinese, perché alcuni colleghi lo accusano di faziosità. Fra questi, il principale è Benny Morris che ha criticato Ben Gurion per non aver operato, nel 1948, una “espulsione totale” dei palestinesi dal territorio del nuovo Stato di Israele, ma solo una parziale…

Parliamo di Pappé perché ha pubblicato da poco una ‘Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina’ che rende intelligibile un’attualità drammatica che il potere israeliano riduce allo scontro bene contro male, civiltà contro barbarie, difesa contro aggressione, democrazia contro terrorismo.

Lo sguardo indipendente e chiarificatore dello storico parte dal sionismo. Ricorda che quello religioso è stato inventato nel XVI secolo da cristiani evangelici: auspicavano il ritorno a “Sion” degli ebrei perché avrebbe provocato la Seconda Venuta di Cristo e l’inizio della fine del mondo. Alcuni erano decisamente antisemiti e vedevano la “Palestina come discarica per gli ebrei”. Il sionismo ebraico ha invece due facce: risposta all’antisemitismo europeo e manifestazione del nazionalismo ebraico. Questo utilizza l’Antico Testamento per rivendicare diritti mitici degli ebrei sulle terre dei nativi palestinesi che vengono trattati da stranieri a casa loro o persino da usurpatori di una terra che Dio ha donato agli ebrei. I nativi andavano trasferiti. Questo sionismo è stato assecondato dalla Gran Bretagna per formare un avamposto europeo in Medio Oriente al servizio dei suoi interessi imperiali.

Pappé chiarisce poi che, in pratica, il sionismo si è concretizzato alla fine dell’800 come “movimento coloniale insediativo” concepito sin da subito per sostituire i nativi della Palestina (allora circa 80% musulmani, 15% cristiani, 5% ebrei), non per convivere con loro. Ciò ha comportato una “pulizia etnica” che ha suscitato resistenza. Il “colonialismo insediativo” e la “pulizia etnica” sono le categorie che permettono di decifrare il conflitto israelo-palestinese di ieri e di oggi: indipendentemente dalla sua ideologia, laica o religiosa, la resistenza palestinese è lotta anticoloniale, come quella in Indocina e in Algeria contro i francesi, in Kenya contro gli inglesi, in Sudafrica contro i Boeri. Lotta di liberazione, non mero terrorismo. Lotta asimmetrica che ha comportato in Palestina e altrove l’utilizzo anche di metodi terroristi (attentati suicidi, civili massacrati e sequestrati il 7 ottobre…): da condannare, ma riconoscendo la legittimità, anche in Palestina, della lotta anticoloniale.

Purtroppo, né le autorità odierne d’Israele né i suoi alleati sono in grado di imprimere una svolta al conflitto secolare. La tregua a Gaza è solo un evento congiunturale. I dirigenti israeliani sono incapaci di offrire agli ebrei un futuro di pace e normalità in Medio Oriente. Non vedono ciò che per lo storico è l’“inizio della fine del progetto sionista in Palestina”: perché Israele è stato trasformato dai suoi dirigenti in uno “Stato paria” e i giovani ebrei di tutto il mondo sono stati allontanati dal sionismo. Quanto agli Stati Uniti e all’Europa fingono che la “soluzione a due Stati” abbia ancora un senso: con 700’000 coloni installati in Cisgiordania e con la distruzione totale di Gaza!

Per Pappé, e non solo per lui, il solo obiettivo sensato oggi è che l’intera Palestina storica divenga la casa democratica dove tutti, palestinesi e israeliani, godano di pari diritti e libertà di movimento. Non vi è alternativa accettabile a questo progetto pur difficilissimo, riassumibile in tre concetti: decolonizzazione, liberazione, riconciliazione. Come dargli torto?

Articolo di Martino Rossi, economista, pubblicato su laRegione del 24 gennaio

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