È indubbio che la vittoria di Trump avrà delle conseguenze sullo stato sociale, il Welfare State così come lo abbiamo conosciuto dagli anni della Grande Depressione in poi. Tra le priorità dell’amministrazione Trump vi è infatti la riduzione dello Stato sociale ai minimi termini, sacrificando l’insieme delle prestazioni sociali a favore del sussidiamento del settore delle piattaforme digitali e delle tecnologie avanzate. Si sta affermando un capitalismo tecno-libertario, una forma di modernismo reazionario che la Germania ha già conosciuto tra le due Guerre mondiali. Questo nuovo corso è destinato a influenzare il dibattito sullo Stato sociale anche oltre i confini americani.
Per quanto riguarda il nostro Stato sociale, sono già all’opera delle tendenze che ne minano le fondamenta e i principi costitutivi. Tendenze che il nuovo spirito del tempo non può che accelerare. Un elemento distintivo del modello elvetico di welfare è il ruolo rilevante del settore privato, che da tempo gestisce ampie porzioni del sistema, in particolare nei settori della previdenza e della sanità, tanto che alcuni anni fa, in occasione di un convegno organizzato dalla Città di Zurigo, la Svizzera è stata definita uno “Stato sociale privato” (“privater Sozialstaat”). Questo approccio mercantile, leggermente ossimorico, crea una polarizzazione in cui i più benestanti godono di protezioni superiori, mentre le fasce più vulnerabili rimangono marginalizzate. In ambito accademico, si parla di un sistema “meritocratico-occupazionale” che accentua queste disparità, rendendo l’accesso ai diritti sociali subordinato a criteri economici e occupazionali e allo statuto acquisito nel mercato del lavoro.
A causa della frammentazione e fragilizzazione del mondo del (lavoro, il finanziamento della sicurezza sociale e la fruizione dei diritti sociali vengono seriamente messi a repentaglio. Un altro aspetto proprio del nostro Stato sociale sono le disuguaglianze all’interno del suo sistema. Persistono evidenti discriminazioni di genere: le donne, spesso penalizzate da carriere frammentate e salari mediamente inferiori, percepiscono pensioni significativamente più basse rispetto agli uomini. A questo si aggiunge la disparità tra cittadini svizzeri e stranieri, con i secondi che, pur rappresentando una forza lavoro essenziale e contribuendo generosamente al sistema attraverso i contributi sociali, incontrano barriere sistematiche nell’accesso alle prestazioni beneficiando assai meno di quanto hanno versato.
Un ulteriore elemento critico è rappresentato dalla crescente finanziarizzazione del sistema. Le riserve delle assicurazioni sociali vengono gestite come capitali da investire sui mercati finanziari e nel settore immobiliare, con rendimenti che diventano centrali per la sostenibilità delle prestazioni e per i profitti delle assicurazioni stesse. Questo fenomeno, noto come “titolarizzazione dei diritti sociali”, rende il sistema vulnerabile alle fluttuazioni economiche e finanziarie globali, sganciandolo dai bisogni reali della popolazione e subordinandolo alle logiche del profitto e della rendita finanziaria. Resta il fatto che alla base del modello elvetico vi è ancora una interconnessione tra il principio redistributivo e quello assicurativo. Un esempio paradigmatico è l’Avs, che combina solidarietà intergenerazionale e previdenza per garantire prestazioni universali. L’Avs, infatti, realizza un’elevata ridistribuzione della ricchezza tra ceti ricchi e ceti modesti, in virtù del fatto che l’ammontare delle rendite è limitato all’interno di una “forchetta” in cui la rendita massima è il doppio di quella minima. Ciò consente agli assicurati a basso reddito di ricevere rendite più elevate in proporzione a quanto hanno contribuito rispetto ai ceti più abbienti. Tuttavia, negli ultimi anni, se consideriamo il sistema previdenziale nel suo complesso, riforme presentate come necessarie per assicurare la sostenibilità finanziaria hanno progressivamente eroso entrambi i principi, quello redistributivo e quello assicurativo. Tagli alle prestazioni, innalzamento dell’età pensionabile e un crescente affidamento a strumenti privati hanno compromesso il patto sociale che regge il sistema, alimentando un senso diffuso di insicurezza che si è voluto contrastare affermando il principio della 13a rendita Avs e rigettando la proposta di riforma del secondo pilastro.
La Svizzera si trova dunque a un bivio. Da un lato, c’è la strada della privatizzazione e delle riforme orientate a favorire i mercati, a scapito della giustizia sociale. Dall’altro, vi è il bisogno di rafforzare il ruolo pubblico dello Stato sociale, riaffermando la centralità della redistribuzione come strumento di coesione e inclusione. Questa scelta non è solo una questione economica, ma un atto politico e morale. In una società tra le più ricche al mondo, tollerare che i più deboli vengano lasciati indietro non può essere considerato accettabile. Occorre un ripensamento che metta al centro i valori di equità e solidarietà, restituendo al sistema la capacità di proteggere davvero tutte le cittadine e tutti i cittadini.
Articolo di Di Spartaco Greppi e Christian Marazzi, apparso su laRegione il 29 novembre