Il presidente Plr Speziali critico sulla scuola inclusiva. Replica Carobbio (Decs): l’inserimento nelle classi ordinarie non è applicato indistintamente.
«Il nostro non è un attacco al sistema educativo, ma una riflessione che parte da una domanda di fondo legittima: dove sta andando la nostra scuola e fin dove ha senso spingere l’inclusione? Se non è possibile porsi interrogativi sull’istituzione che forma i nostri figli senza venir tacciati di reazionari significa che ci troviamo in un contesto ideologico. E infatti, come noto, attorno all’inclusione si stanno mobilitando diversi temi, come ad esempio le teorie gender, la società colpevole di tutte le disuguaglianze, a cui probabilmente seguirà la contestazione delle note scolastiche poiché ogni tipo di selezione sarà ritenuta discriminante. Non c’è da stupirsi se poi i giovani, una volta fuori dalla scuola, si scontrano con una realtà a cui spesso non sono preparati. E che può risultare traumatica». In concomitanza con il ritorno sui banchi in Ticino, il presidente del Plr cantonale Alessandro Speziali lascia chiaramente intendere la propria visione sulla rotta che l’istituzione scolastica non dovrebbe seguire, e nel farlo difende buona parte del documento adottato dall’Assemblea dei delegati del partito nazionale lo scorso 22 giugno dal titolo “La scuola dell’obbligo annaspa: torniamo alla missione principale” nel quale, al secondo di 17 punti, la scuola inclusiva è descritta come poco efficace nella pratica in quanto i bambini che hanno grosse difficoltà di apprendimento sarebbero svantaggiati, l’insegnamento regolare ostacolato, gli alunni più bravi trascurati a causa di una standardizzazione artificiale e costosa.
«Il nostro non è un attacco al sistema educativo, ma una riflessione che parte da una domanda di fondo legittima: dove sta andando la nostra scuola e fin dove ha senso spingere l’inclusione? Se non è possibile porsi interrogativi sull’istituzione che forma i nostri figli senza venir tacciati di reazionari significa che ci troviamo in un contesto ideologico. E infatti, come noto, attorno all’inclusione si stanno mobilitando diversi temi, come ad esempio le teorie gender, la società colpevole di tutte le disuguaglianze, a cui probabilmente seguirà la contestazione delle note scolastiche poiché ogni tipo di selezione sarà ritenuta discriminante. Non c’è da stupirsi se poi i giovani, una volta fuori dalla scuola, si scontrano con una realtà a cui spesso non sono preparati. E che può risultare traumatica». In concomitanza con il ritorno sui banchi in Ticino, il presidente del Plr cantonale Alessandro Speziali lascia chiaramente intendere la propria visione sulla rotta che l’istituzione scolastica non dovrebbe seguire, e nel farlo difende buona parte del documento adottato dall’Assemblea dei delegati del partito nazionale lo scorso 22 giugno dal titolo “La scuola dell’obbligo annaspa: torniamo alla missione principale” nel quale, al secondo di 17 punti, la scuola inclusiva è descritta come poco efficace nella pratica in quanto i bambini che hanno grosse difficoltà di apprendimento sarebbero svantaggiati, l’insegnamento regolare ostacolato, gli alunni più bravi trascurati a causa di una standardizzazione artificiale e costosa.
‘Insegnamento sempre più livellato’
Il documento è stato approvato nel suo complesso anche dalla quindicina di delegati ticinesi presenti all’assemblea. «Come Plr – tiene a sottolineare Speziali – riconosciamo il ruolo integrativo della scuola. Il concetto di scuola media unica, ad esempio, lo abbiamo portato avanti con convinzione e lo difendiamo. Non vogliamo una scuola che segrega ed esclude i giovani. Pensiamo, oggi come ieri, che sia fondamentale integrare i ragazzi, ma siamo critici verso l’evoluzione sempre più inclusivista, che a oltranza si sta rivelando controproducente e con notevoli aggravi per i docenti».
Secondo Speziali l’attuale approccio starebbe portando a «un progressivo livellamento dell’insegnamento, un venir meno della differenziazione e dello stimolo delle diversità, un disorientamento dell’alunno che si vede circondato da una moltitudine di figure specialistiche, con una certa medicalizzazione della scuola. Ma il documento svizzero parla anche dell’eccessiva burocrazia per i docenti, del rispetto in classe, della conciliabilità famiglia-lavoro e di altri aspetti a noi cari», precisa Speziali. Che anticipa – riferendosi al documento che il Plr cantonale presenterà in conferenza stampa mercoledì con proprie idee sulla scuola –: «A livello ticinese faremo alcuni adattamenti, anche perché rispetto all’approccio svizzero-tedesco siamo meno segregativi e difendiamo le nostre specificità linguistiche».
‘Bilancio tra investimenti e obiettivi?’
Il 13 agosto il Plr ticinese ha inoltrato al Consiglio di Stato un’interrogazione relativa al documento del Decs presentato pochi giorni prima della fine della scuola dal titolo “Inclusione e accessibilità nel sistema scolastico ticinese”. Scopo dei deputati quello di comprendere “se davvero gli investimenti da anni presi a carico dal sistema siano in un qualche modo stati oggi come in passato in grado di conseguire i risultati auspicati”. Non è però già un indicatore significativo – chiediamo a Speziali – il fatto che la scuola dell’obbligo ticinese, riconosciuta come la più inclusiva della Svizzera, pur costando meno di quella di molti altri cantoni (è al quartultimo posto per percentuale del Pil investita negli studenti; 4,3%), stando ai test Pisa in termini di competenze raggiunte dagli allievi abbia risultati buoni se non superiori nei confronti intercantonali e internazionali? «È un bene che i risultati Pisa siano positivi per il Canton Ticino – premette il presidente Plr –, va però ricordato che l’esito di questi test dipende dall’intero percorso della formazione obbligatoria. Visto che i programmi d’inclusione sono stati avviati solo alcuni anni fa è difficile collegare direttamente questi interventi con gli ultimi risultati Pisa. Semmai è soprattutto l’operato dei docenti e la politica d’integrazione avviata da sempre nelle nostre scuole che hanno portato a questi esiti». Quanto alla spesa per la scuola, «dato che la maggior parte va per i salari dei docenti, è implicito che se da noi questi sono inferiori di circa il 15% rispetto alla media nazionale, ciò ha una ripercussione anche sul posizionamento del Ticino. Comunque, per l’educazione, il Ticino investe oltre un miliardo di franchi, vale a dire un quarto delle uscite complessive».
‘La scuola non può raddrizzare tutto’
Cifre che sottintendono la necessità di intervenire con nuove misure di risparmio? «Assolutamente no – afferma Speziali –. Il nostro unico riferimento ai costi della scuola ticinese è legato all’efficacia del programma d’azione del Decs. Ciò che realmente temiamo è il consolidarsi di un approccio a tratti ideologico. Sappiamo ad esempio che l’origine socioeconomica di una persona può avere un influsso nel suo percorso formativo, ma ci sono tante altre determinanti che la scuola non può prendersi il compito di raddrizzare. Dobbiamo occuparci senza tregua del disagio presente, ma non possiamo ritenere malata un’intera generazione». Stando al presidente Plr «sono in molti pure all’interno del mondo scolastico quelli che iniziano a schiacciare qualche bottone d’allarme per dire che qualcosa va rivisto. Ce lo dicono docenti, direttori, esperti di scuola. Gli interrogativi, prima che dai nostri uffici politici, vengono da loro e non solo. Basta dare un’occhiata agli articoli e ai segnali concreti che emergono in Svizzera romanda e tedesca: il sistema attuale ha bisogno di essere interrogato e riorientato. Non possiamo a ogni problema rispondere automaticamente con sempre più inclusione, in una corsa che non porterà mai ai risultati sperati, anzi».
La capa dipartimento
‘Perché ognuno sviluppi le proprie potenzialità’
«Vorrei in primo luogo chiarire che il modello ticinese è diverso da quello conosciuto e recentemente criticato in diversi cantoni d’Oltralpe – premette, in replica alle considerazioni dei liberali radicali sulla scuola inclusiva, la direttrice del Dipartimento educazione, cultura e sport (Decs) Marina Carobbio, che articola –: in Ticino per accogliere gli allievi con bisogni educativi particolari esistono più opzioni. Oltre agli interventi nelle classi regolari, ci sono le classi inclusive, dove vengono inseriti alcuni allievi con bisogni educativi particolari, in cui i docenti di classe o di materia sono affiancati da docenti di pedagogia specializzata. Ci sono quelle a effettivo ridotto, composte unicamente da allievi con bisogni educativi particolari, conosciute come classi “di scuola speciale”. E poi, per gli alunni con maggiori necessità di accompagnamento, ci sono gli istituti che offrono percorsi di scolarizzazione speciale. Tutto questo allo scopo di rispondere in maniera individualizzata ai bisogni degli allievi». Insomma, l’inclusione nelle classi regolari non è la soluzione applicata indistintamente. In particolare, specifica Carobbio, «quello che ci differenzia da alcuni cantoni è il fatto che qui i docenti ordinari sono affiancati da altre figure professionali».
Con scuola inclusiva, spiega Carobbio, si intende «una scuola che sia accessibile a tutte e a tutti, quindi che intervenga anche a favore degli allievi che necessitano di misure particolari, tenendo conto del contesto nel quale sono accompagnati». Con allievi con bisogni educativi particolari ci si riferisce a bambini e ragazzi con disabilità, ma anche con disturbi specifici dell’apprendimento – dislessia, discalculia, disgrafia, disortografia –, o con deficit dell’attenzione, «quindi alunne e alunni che necessitano di sostegni mirati come misure compensative o dispensative per togliere ostacoli all’apprendimento – mette in luce la direttrice del Decs –. Queste misure possono essere, oltre alla differenziazione didattica, ad esempio l’impiego di tablet, iPad o altri strumenti didattici e tecnologici, come pure l’esenzione dell’allievo da una certa attività o da un certo impegno scolastico. Si tratta inoltre come detto anche di avere strategie e personale specializzato che accompagna l’allievo per far fronte ai suoi bisogni particolari, compresi quelli di alunni con buone capacità come è il caso di coloro che presentano un alto potenziale cognitivo». Il sistema non prevede dunque un’inclusione standardizzata, rimarca Carobbio, «ma risposte mirate e flessibili al fine di garantire il diritto all’educazione e alla formazione a tutte e tutti in modo che ognuno possa sviluppare le proprie potenzialità. Questo smentisce l’idea secondo cui staremmo cercando di azzerare le diversità. Anzi, proprio perché riconosciamo le diversità vogliamo sostenere ognuno in base alle proprie caratteristiche, per quanto possibile con le risorse che abbiamo».
‘I buoni risultati ne dimostrano l’efficacia’
La direttrice del Decs è convinta che questo approccio non vada a scapito dell’insegnamento delle materie e dei contenuti, che restano essenziali: «I ragazzi devono avere delle solide basi in italiano, in matematica e nelle altre discipline, e questo continua a essere garantito – sostiene Carobbio –. Lo dimostrano sia indagini nazionali che internazionali come i test Pisa che attestano come i risultati degli allievi ticinesi siano positivi. Una preparazione buona che si rispecchia anche a livello di maturità professionale e liceale, e pure nel percorso negli studi superiori: il Ticino è il cantone con il tasso tra i più alti di diplomati nelle università e nei politecnici. E tutto ciò a costi minori rispetto ad altri cantoni, come emerge ad esempio dallo studio Idheap commissionato dal Consiglio di Stato e da altri rilevamenti interni». Rispondendo al quesito posto dall’interpellanza dei liberali radicali, questi come altri indicatori – rileva Carobbio – certificano il fatto che il sistema funziona. «Ciò non vuol però dire che non debba essere costantemente monitorato e se necessario anche rivisto – puntualizza la consigliera di Stato –. Seguiamo con attenzione l’evoluzione dei bisogni nella scuola e siamo sempre disponibili a rimettere in discussione le misure. Abbiamo anche avviato dei progetti pilota, uno volto a dare più flessibilità agli istituti nell’erogazione di sostegni attraverso gli operatori pedagogici per l’integrazione per intervenire in certe situazioni, l’altro per rafforzare i docenti di sostegno pedagogico negli interventi di prevenzione così come dell’educatore regionale. Si tratta di progetti – sottolinea la responsabile di un dipartimento non di rado accusato di dirigismo – voluti dai docenti e dalle direzioni, e che verranno valutati per capire la miglior direzione da seguire».
Tra gli aspetti su cui c’è ancora molto lavoro da svolgere e su cui il Decs si vuole impegnare vi è il passaggio dalla scuola dell’obbligo al post-obbligo spesso caratterizzato dal venir meno di diverse forme di aiuto. L’intenzione è anche di rafforzare la formazione dei docenti. A questo scopo da tre anni in Ticino esiste un Master in pedagogia speciale: «Anche questa offerta va nella direzione di fornire un accompagnamento ai docenti che si trovano confrontati con situazioni di disabilità e disturbi specifici dell’apprendimento ma anche con fenomeni di disagio e fragilità. Il loro è un lavoro complesso e importante, che merita pieno sostegno e riconoscimento».
‘Risparmiare oggi crea più costi domani’
Una scuola inclusiva, commenta Carobbio, va a beneficio dei ragazzi interessati ma in definitiva di tutta la società. La consigliera di Stato a titolo di esempio concreto cita la storia di una giovane che attualmente sta svolgendo una formazione professionale e che lungo il suo percorso scolastico ha usufruito di aiuti molto mirati per la sua condizione di grave disabilità: «Ora questa ragazza intende continuare gli studi. Probabilmente se non fosse stata seguita in modo così personalizzato non avrebbe mai potuto ottenere un diploma e non si sarebbe potuta realizzare appieno. D’altro canto diversi suoi docenti hanno constatato che il confronto degli altri ragazzi con la disabilità e le sfide che essa comporta sia stato per loro di grande esempio e li abbia rafforzati». Venendo alla società, prosegue Carobbio, «se ragioniamo in termini meramente finanziari, l’approccio inclusivo ha certamente un costo per la scuola, ma disinvestire oggi nei percorsi mirati per chi è in difficoltà a causa di disabilità o disagio significa escludere delle persone dal mondo del lavoro di domani e aumentare i costi a carico delle assicurazioni sociali. La scuola fa la sua parte, ma non può essere lasciata da sola», valuta la direttrice del Decs, che chiama la politica e i dipartimenti a un lavoro concertato su questi temi: «Ne va del futuro del cantone».
Articolo di Cristina Pinho, apparso su La Regione il 2 settembre 2024