LPP: un buon compromesso? In realtà è un inganno

«È un buon compromesso », è questo il mantra dei sostenitori della riforma della LPP in votazione il 22 settembre. Visto che si tratta di un compromesso, c’è chi ci guadagna e chi ci perde.

Vediamo fatti e cifre. La riduzione del tasso di conversione è una realtà, si scenderà dal 6.8% al 6%. Una riduzione secca della rendita del secondo pilastro, che può arrivare a 3.200 franchi all’anno. Nella riforma è previsto un aumento dei contributi salariali obbligatori, fino a 2.400 franchi all’anno. Il risultato è chiaro: si pagherà di più e si otterrà di meno. Un meccanismo infernale, ammesso dallo stesso governo. Ecco allora le così dette misure di compensazione e qui sta l’inganno. Per molte persone si tratterà di versare contributi più alti, ottenendo nulla in cambio.

Le donne sono – come d’abitudine nelle riforme del sistema pensionistico, vedi aumento dell’età di pensionamento – le più svantaggiate. La riforma in votazione allarga sì la fascia di reddito assoggettata all’obbligo di affiliazione, ma non affronta per niente il tema delle interruzioni di attività, che penalizzano le donne, cui non è riconosciuto minimamente il lavoro di accudimento. Chi ha bassi salari o lavora a tempo parziale sarà inoltre più toccato dall’aumento dei contributi e il suo potere d’acquisto, già in crisi, diminuirà. Non per nulla contro la riforma della LPP si sono schierati Gastrosuisse e le associazioni di settori a bassi salari (dai panettieri e pasticceri ai parrucchieri e alle parrucchiere, a chi lavora nelle stazioni di servizio o nei centri fitness). Non è dunque una battaglia della solita sinistra sindacale che non accetta la nuova realtà socio-demografica, perché con questa riforma sono in gioco i destini di persone e famiglie già pesantemente toccate dalla perdite del potere d’acquisto e le associazioni che le rappresentano non sono certo tradizionalmente schierate a sinistra.

Un’ultima cifra: la sola gestione patrimoniale dei capitali delle casse pensioni vale sei miliardi di franchi, per il settore finanziario è un affare colossale, che la riforma renderebbe ancor più attraente. Logico che i manager delle casse pensioni e i broker si freghino le mani in attesa di un sì. Vogliamo davvero che questo «buon compromesso» diventi realtà?

Articolo di Maurizio Canetta, granconsigliere, apparso sul Corriere del Ticino il 28 agosto

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