Col voto di domenica 19 novembre si è chiuso il capitolo elettorale federale che, in Ticino, ha premiato il fronte del centrodestra. Un risultato che si direbbe sancire il ridimensionamento definitivo, iniziato da tempo, delle politiche che, in particolare nella seconda metà del secolo scorso, hanno condotto il Canton Ticino verso il progresso economico, sociale e culturale. Molto è cambiato da allora, non solo alle nostre latitudini, ma siamo davvero di fronte a un mutamento epocale? I populismi crescenti, non solo in Svizzera, hanno ormai gioco facile in ogni competizione senza possibilità di uscita? La semplificazione e la banalizzazione agevolate anche dall’immediatezza propria della comunicazione digitale non offrono alternative? Domande difficili che coinvolgono anche, se non soprattutto, la sinistra ticinese uscita peraltro dalle elezioni federali con un risultato consolidato sia nella conferma della piattaforma rossoverde, sia nel sostanziale mantenimento della propria base elettorale. Anche se, purtroppo, abbiamo perso il seggio progressista agli Stati.
Stiamo vivendo un periodo complicato sempre più condizionato da fattori esogeni, determinati al di fuori dei confini nazionali. E lo sarà ancor di più nel futuro di una Svizzera costantemente confrontata con l’Unione europea. È però vero che oggi il Canton Ticino sta soffrendo più degli altri cantoni difficoltà nuove e per certi versi vecchie: da un lato la stagnazione economica del Paese confinante che mette sotto pressione i salari e il mercato ticinesi, dall’altro una tendenza imprenditoriale poco attenta alla sostenibilità e più interessata alle opportunità del profitto sul breve periodo offerte dalle contraddizioni transfrontaliere. In mezzo l’immobilismo politico, approdo inevitabile del populismo declamatorio che non ha risposte, ma solo slogan illusori. Uno scenario difficile che, come sempre, fa pagare il prezzo più caro alle classi popolari e al ceto medio. Ai salariati e agli artigiani che non conoscono alternative alla propria condizione. Alla maggioranza dei ticinesi disorientata e anche arrabbiata per l’ormai troppo lungo stato d’impotenza e di rinunce. Ai quali si aggiunge il rischio di uno Stato non più capace di garantire servizio pubblico, attrattività dei posti di lavoro, prestazioni e servizi alle cittadine e ai cittadini. Cambiare si può, ma per farlo occorre superare paure e malintesi. Cambiare si deve, perché dopo quasi trent’anni di immobilismo politico il Ticino ha bisogno di ribadire il proprio ruolo, la forza della propria identità, in una Svizzera che è tale solo perché sa valorizzare – con una sintesi invidiata da tutto il mondo – le differenze e le minoranze. Ma il ruolo del Canton Ticino non è dato una volta per sempre, va rafforzato continuamente. Il resto della Svizzera dovrebbe quasi quotidianamente prenderne atto, ma non perché i ticinesi mendicano la pur legittima comprensione. Ci vuole assai di più. È necessario “giustificare” la propria identità con i fatti e non solo a parole. Il populismo oggi vincente lo si sconfigge riportando il Canton Ticino al centro dell’agenda svizzera (non basta l’elezione di un consigliere federale di lingua italiana), che vuol dire ritrovare idee, sicurezza, ma soprattutto coesione dell’intero fronte progressista che per fortuna va ben oltre la definizione di sinistra. Forze progressiste che devono riconoscere e difendere il ruolo centrale dei servizi pubblici e parapubblici quale fattore di coesione sociale e per ridurre le disuguaglianze e la precarietà. La semplificazione e la banalizzazione dei problemi sono nemici delle minoranze perché poco inclini a cogliere le sfumature, le differenze, le vie d’uscita non scontate. Il populismo non è amico della ricerca di soluzioni. Se la sinistra ticinese deve imparare a credere di più nelle proprie forze, nelle potenzialità di un Paese ricco perché contraddittorio e multiculturale, chi non si ritiene di sinistra ma crede nello Stato, nell’equilibrio fra le differenze, nella promozione della cultura e dell’educazione, nella difesa dei diritti dei più deboli, nella valorizzazione del nostro patrimonio ambientale, nella corretta ridistribuzione economica deve ritrovare il coraggio e lo spirito che hanno portato il Ticino, in altri tempi, fuori dalla povertà.
Il declino populista non è invincibile, la storia lo insegna. Ma siamo pronti a tornare protagonisti del nostro destino?
Articolo di Marina Carobbio apparso su LaRegione 28 novembre