Il potere d’acquisto e l’aiuto all’agricoltura

Fa riflettere che delle proposte volte ad aumentare il potere d’acquisto alle fasce di reddito medio/ basso (ad esempio premi cassa malati che non superano il 10% del reddito o salario minimo), vengano contrastate anche da piccole/i e medie/i imprenditrici e imprenditori che vivono nell’economia reale. In effetti, un aumento del potere d’acquisto di chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese – e non solo – può solo giovare alle piccole e medie imprese: il consumo di chi avrà un potere d’acquisto maggiore potrebbe orientarsi di più al mercato locale, che a volte risulta troppo caro per una fetta della popolazione, visti anche i costi di produzione maggiori rispetto ai paesi limitrofi.

Va ribadito che la propensione al consumo, e cioè di quanto aumenta il consumo per ogni franco guadagnato in più, è maggiore per chi ha un reddito medio/basso; in altre parole, le persone che hanno un reddito medio/basso hanno più probabilità di spendere un aumento nell’economia reale (quindi consumando) rispetto a chi ha un reddito alto, le/i quali hanno più probabilità di risparmiare o di spostare i capitali sul mercato finanziario un eventuale aumento di reddito. Gli sgravi dunque per persone con alto reddito giovano ben poco alle piccole e medie imprese e al mercato locale, mentre, ad esempio, iniziative per pensioni dignitose o affitti accessibili sono più efficaci per sostenere tutta l’economia reale.

Aumentare il potere d’acquisto del ceto medio/basso va quindi a beneficio anche delle artigiane e degli artigiani, tra cui le agricoltrici e gli agricoltori. Se più cittadine/ i potessero permettersi di pagare il giusto prezzo dei prodotti agricoli, l’agricoltura potrebbe svilupparsi in maniera sostenibile, con aziende ancorate al territorio e di grandezza ragionevole. Ora invece, per restare competitivi si è costretti ad ampliarsi e a vendere i propri prodotti alla grande distribuzione a prezzi stracciati (a titolo d’esempio, un litro di latte costa produrlo circa 1,20 franchi, mentre in Ticino viene pagato circa 0,65 centesimi) al fine di permettere alla grande distribuzione di mantenere dei prezzi accessibili (e di continuare a farsi dei lauti profitti alle spalle delle produttrici e dei produttori).

Sostenere politiche a favore del potere d’acquisto (un altro esempio: la tredicesima mensilità AVS) quindi non può che avere ripercussioni positive anche sull’agricoltura, e sul consumo che può diventare più locale, sano e sostenibile. Si permetterebbe, di fatto, di risolvere almeno in parte, la precarietà del settore agricolo, in quanto le agricoltrici e gli agricoltori potrebbero finalmente valorizzare i propri prodotti con prezzi giusti senza poi dover dipendere dai contributi statali, ma vivendo in maniera dignitosa della propria attività e del proprio lavoro.

Articolo di Alice Ambrosetti apparso sul Corriere del Ticino del 5 ottobre

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