Quando si parla di cultura, spesso si pensa a un fronzolo. A qualcosa di accessorio, di non necessario. Perché dovremmo occuparci di cultura, quando i premi della cassa malati aumentano, quando il lavoro diventa sempre più precario, i contratti meno solidi, quando si chiede flessibilità e quando la vita quotidiana si complica, nel contesto di una società della performance di cui parlano i due fondatori di Tlon, Andrea Colamedici e Maura Gancitano, nei loro libri e che richiede una competizione continua e l’esibizione di sé come merce che deve sempre ribadire e attestare nevroticamente il proprio valore?
Perché dovremmo occuparci di cultura a fronte dei problemi cogenti, della quotidianità, delle bollette da pagare? In qualità di autrice e candidata alle elezioni federali per il PS, elezioni per cui porto avanti i temi legati alla cultura, mi sento di parlare anche a chi si sente lontano da questi temi. Perché la cultura porta all’accrescimento di un territorio. «Cultura» viene dal latino «colere», che vuol dire coltivare. Un lavoro che si fa nell’ombra, nello scuro della terra, che però nel lungo termine e lungo percorsi silenziosi e spesso invisibili porta i suoi frutti. Che sono, nello specifico, la crescita del territorio. Un territorio non può prosperare se non offre spazi di riflessione su se stesso, se non sa scriversi e rappresentarsi nei libri, nelle opere teatrali, nei quadri e nella danza, se non sa dire chi è fuori dai suoi confini, che nel caso del Ticino sono la Svizzera francese e tedesca, da una parte, e l’Italia, dall’altra. Saperci raccontare, saper dire quali sono le nostre peculiarità, di cosa si sostanziano i nostri sogni e le nostre paure significa in fondo difendere la nostra italianità.
Raccontarci e saperci narrare significa far prosperare il territorio e non solo, quindi, diventare più attrattivi a livello turistico, ma anche evitare che le nostre figlie e i nostri figli, che il nostro futuro vada via dal Ticino perché poco attrattivo, perché ripiegato su se stesso. Una manna, questa, che rischia di cadere sulla testa di altri, su altri territori, per poca lungimiranza, per chiusura mentale, per non aver capito fino in fondo queste cose.
Secondo uno studio commissionato all’Istituto di analisi economiche BAK dal DFE e dal DECS l’indotto culturale è tale per cui per ogni franco investito nella cultura se ne generano sul territorio 2,6. Quasi il triplo.
Questo significa che i soldi che sembrano investiti a vuoto in realtà portano una crescita, anche economica.
La cultura è per tutti. Per chi la fa, per chi la segue, ma anche per chi se ne disinteressa.
Perché il valore del pensiero e della riflessione sono le basi del nostro vivere civile. E nei momenti più difficili e critici il suo valore e la sua importanza emergono al di là di ogni dubbio.
Articolo di Laura Di Corcia, candidata al Consiglio nazionale, apparso sul Corriere del Ticino il 21 settembre